Oggi desidero raccontarvi la storia di un “piccolo campione” del sollevamento pesi e della cultura fisica. Il tema dell’articolo punta non tanto sui risultati conseguiti nello sport, ma sull’atteggiamento di vita che caratterizza l’atleta di altissimo livello. In un mondo dove la competizione ed il risultato finale sono considerati fondamentali, oppongo e presento una storia ben diversa. Come disse Stallone nel film Rocky VI: “Nella vita non è importante come colpisci, ma come sai resistere ai colpi, e una volta che finisci al tappeto hai la forza di rialzarti”. Sulla base di questa frase possiamo comprendere quanto sia importante la forza di volontà che nei momenti difficili della vita può superare la forza di gravità che potrebbe lasciarci giù stesi al suolo. Quando ho conosciuto Pasquale Ricci nel lontano 2006, osservando i suoi duri allenamenti, notavo qualcosa di diverso rispetto ad altri atleti, aveva un rapporto, una relazione ed un dialogo invisibile con i pesi che sollevava. Pasquale, che ne fosse consapevole o meno, si opponeva ai carichi con l’atteggiamento di colui che vuole risollevarsi dai problemi e le sfide che la vita duramente ogni giorno impone. Infatti, un giorno, alla mia domanda: “Cosa significa per te allenarsi con i sovraccarichi?” Mi rispose: “Superare la forza di gravità”. Attenzione, non disse mai, raggiungere l’oro olimpico o essere il numero uno, ma puntò tutto su un aspetto metafisico e spirituale della sua realtà sportiva. Nonostante Pasquale Ricci, ad oggi, abbia raggiunto 25 anni di attività agonistica e collezionato numerosi successi in 258 partecipazioni, spesso anche in contrasto tra loro in termini di preparazione atletica (infatti è stato il primo ed uno dei pochi a competere sia nel sollevamento pesi che nella cultura fisica), dichiarò al sottoscritto di voler superare la forza di gravità e non i propri avversari.

Approcciarsi al mondo dello sport con questo principio potrebbe aiutare a vivere l’attività fisica con maggiore entusiasmo, senza stress da prestazione e senza l’ossessione di dover necessariamente mostrare di essere il migliore di tutti, atteggiamenti che tanto stanno danneggiando lo sport e la società.

Per me dunque il campione non è colui che sale sul gradino più alto del podio, ma chi riesce a trasmettere il concetto di crescita personale e collettiva durante il cammino atletico che, per avere un vero significato, deve esprimersi nella vita sociale attraverso una personalità nuova e rigenerata, proprio come si rigenera il corpo dopo un duro allenamento. Sollevare pesi dunque non è una questione da “tutto muscoli e niente cervello”, anzi è proprio l’opposto e punta sull’applicazione del famoso motto “mens sana in corpore sano”. Oggi più che di campioni, abbiamo bisogno di eroi pronti a sollevare i carichi di tutti i problemi di una civiltà in totale crisi, che senza sosta genera conflitti tra i popoli. Allenarsi con la giusta mentalità, significa in buona sintesi, addestrarsi alle sfide della vita per realizzare una nuova umanità, più forte sia spiritualmente che materialmente.

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